martedì 26 novembre 2013

Alberto Gambato ci racconta il Festival di Roma



Da un po’ di giorni ormai è calato il sipario sulla Festa del cinema di Roma. Tra coloro che lo hanno seguito da vicino c’era il nostro Alberto Gambato che è venuto in radio per portarci le sue impressioni a riflettori spenti. Incalzato da Simone ci ha presi su e ci ha fatto fare un giro sul treno delle emozioni vissute ad occhi spalancati durante quelle giornate di bobine fatte girare a più non posso. «C’ero stato nel 2006  a Roma alla prima edizione ma non mi era piaciuta. Non mi piace il luogo dove viene fatto, nel quartiere Prati, dove ci sono ancora gli impianti  delle Olimpiadi del 1960. Lì mancano completamente le strutture ricettive, bar ristoranti, alberghi ecc. con la metro non ci si arriva direttamente. Poi l’auditorium è una struttura fredda, non ha nulla di quella malinconia, di quella atmosfere che possono avere Cannes o il Lido.


Per Torino e Berlino il discorso è diverso perché vengono utilizzati i cinema della città e quindi il visitatore vive a pieno la città. Secondo me uno dei futuri possibili per il festival di Roma è andare via dall’auditorium ed andare in luoghi che invece sono più pertinenti e più utili. Alcuni amici romani mi hanno confermato che sarebbe possibile perché ci sono alcuni cinema vicino a piazza Repubblica e a Termini che sono facilmente raggiungibili dai mezzi. Anche se non sarebbe possibile fare il red carpet a cui i politici tengono molto». Una manifestazione voluta fortemente dal mondo politico il festival di Roma.  Questa è la seconda edizione diretta Marco Muller :«E’ stata una edizione ricchissima di film - ha detto Gambato – io l’ho seguita in maniera molto radicale, ho fatto sette giorni su dieci ed ho cercato di vedere soprattutto il concorso dei documentari italiani che si chiama “Prospettiva Doc Italia” e “Cinemaxi”, perché vedendo il concorso e il fuori concorso non avevo visto nomi che mi potessero interessare così tanto e invece dentro al Cinemaxi, Muller ha portato alcuni selezionatori che aveva a Venezia per Orizzonti e quindi la stessa idea, lo stesso progetto. E li si potevano vedere delle opere d’arte e non dei film. Opere che potevano tranquillamente essere esposte in un museo però in forma filmica. Quindi i più grandi artisti del mondo che si occupano di quelle che sono le frontiere del cinema cioè di quel punto strano in cui il cinema si immischia con le altre arti, a Roma c’erano tutti. E al termine di ogni proiezione c’era un momento di scambio tra l’autore e il pubblico. Io da anni seguo dei festival e non mi posso più accontentare di vedere dei bei film, ma ho bisogno di vedere cose che mi aprano la testa. Cose che poi posso utilizzare anche per migliorare le mie idee. Per mescolarle con le mie». 




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